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Presentiamo soprattutto nuove pubblicazioni, sia traduzioni sia versioni originali di editori italiani. Oltre ad autori ed editori conosciuti, lo scopo è quello di sostenere anche nuovi talenti ed editori indipendenti. La letteratura recensita riguarda un ampio spettro di generi.

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Scriviamo tutte le nostre recensioni con l’ambizione di presentare articoli competenti, originali, informativi ed utili per i nostri lettori. L’attenzione che abbiamo trovato da alcuni anni conferma il nostro approccio, come pure il riconoscimento sotto forma di citazioni o link inseriti in altri siti (wikipedia.de, iiccolonia.esteri.it [Istituto Italiano di Cultura], arte.tv, orf.at ...) e di commenti da autori e lettori.

Le nostre recensioni ed altri articoli si rivolgono a ...
• persone che stanno imparando o hanno già imparato l’italiano a scuola o nei corsi per adulti e desiderano qualche orientamento su cosa possano leggere per esercitarsi e capire meglio l’Italiano;
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• il grande gruppo di gente che, per motivi culturali o altri, si interessa per l’Italia.

I nostri lettori provengono dalla Germania (~60%), l’Austria (~13%), la Svizzera (~13%) e l’Alto Adige (~4%). Comprano i libri italiani o online o in una libreria italiana.

Studiamo regolarmente i siti delle case editrici e dei premi letterari d’Italia in cerca di titoli di un certo livello letterario e di interesse per i nostri lettori. Offriamo alle case editrici e agli autori di pubblicare la nostra recensione (in tedesco) sul nostro sito. Per questo servizio chiediamo solo l’invio di una versione elettronica del libro.

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Oltre i commenti inviatoci da lettori e autori germanofoni abbiamo anche ricevuto alcuni dall’Italia. Per esempio il responsabile comunicazione e ufficio stampa a una delle più importanti case editrici italiane ci ha scritto questo (19 gennaio 2022):

Grazie Alex, grazie per la tua attenta e accurata e generosa lettura. Ne siamo molto contenti.
Ci troviamo presto per tutte le occasioni che vorrai.
...

Ecco un’e-mail privata da professor Giulio Angioni, che, come studente, viveva anche in Germania e capisce benissimo il tedesco [ Wikipedia]. In risposta alla nostra recensione del suo libro »Sulla faccia della terra«, ci ha scritto (6 marzo 2015):

Caro Dottor Schwarz,
devo e voglio ringraziarla molto per questa sua recensione del mio ultimo libro. E’ così precisa, informata e capace di informare come raramente si vede. Ovvio poi che la valutazione massima mi rende particolarmente grato.
E mi fa sperare che il libro possa avere fortuna presso i parlanti tedesco.
Mi piacerebbe sapere di lei e dei suoi interessi letterari.
Tante belle cose e a presto!
Giulio Angioni

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Se Lei cerca la traduzione di un altro articolo, Le possiamo raccomandare questo sito di traduzioni automatiche: DeepL
Si entra semplicemente l’intero articolo, e di solito appare una traduzione tutt’altro che perfetta, ma molto più convincente di quelle da Google, per esempio.


Recensione di Gianni Mattencini: »L’onore e il silenzio«

:
L’onore e il silenzio


1924, Calabria: Nei pressi del cantiere di un moderno ponte ferroviario viene trovato il cadavere del direttore dei lavori. Le orrende condizioni della vittima sembrano rivelare un movente evidente: Qualcuno ha ucciso l’ingegnere per causa d’onore. L’indole dei paesani, le loro relazioni impenetrabili e il paesaggio selvaggio renderanno però difficili le indagini affidate a due regi carabinieri. L’intera squadra degli operai ne rimarrà coinvolta, al pari del bravo caposquadra i cui accertamenti concorreranno alla soluzione del caso.


Romanzo poliziesco · Rizzoli · · Brossura · 274 pp. · ISBN 9788817103114
Lingua: it · Paese d’origine: it

Un cadavere che parla

Recensione pubblicata l’8 febbraio 2019 · 2 voti »recensione utile« · senza commenti

L’entroterra calabrese è remoto, selvaggio e impervio. Per secoli i vil­laggi e la natura sono stati lasciati a se stessi. Tutta­via, nell’ultimo terzo dell’Ottocento la ferrovia realizzò ingressi e passaggi da Napoli e Bari a Reggio Calabria e verso la Sicilia; qualche diramazione raggiunse anche talune valli remote della Calabria. Gianni Mattencini, giudice in Bari, ha scelto un luogo così, dove l’arretra­tezza e il progresso si incontrano, come scenario del suo terzo libro. Un romanzo poli­ziesco, insolita­mente colto, che offre al lettore uno straordi­nario piacere estetico.

Borgodivalle è un piccolo villaggio di fantasia costituito da poche abita­zioni di contadini e pastori sparse per lo più nella campagna circostante ed è forse situato sul versante nord della Sila. Dispone già di una piccola stazione ferroviaria col suo capo­stazione, ma i pochi treni che l’attraver­sano passano senza fermarsi. Si deve ora realizzare la dirama­zione per una linea secondaria. Alcuni abitanti ripongono grandi speranze nel futuro e aspettative anche di ricchezza per le opere che do­vranno compiersi. Quando lunedì 10 novembre 1924 gli operai baresi – una de­cina di uomini di varia età e dai caratteri diversi – si installano nel paese e vanno a cena nell’unica locanda del borgo, gli avventori abituali sono pieni di curiosità per ciò che li attende, ma soltanto Giacomone, il mas­siccio oste, mosso da aspettative commerciali, osa porre domande.

I lavoratori sono lì per costruire un moderno ponte di ferro sul fiume Crati che sfocia poco più in basso nel Mar Ionio. Alcuni vagoni posteg­giati su un tronco morto servono da alloggio, cucina, ufficio e officina. Il loro caposquadra, rispettato e apprezzato, è Gennaro Loiacono. Un uomo retto, respon­sabile, attento e comprensivo. La super­visione tecnica è affi­data invece all’ingegnere Alessandro Alessi della direzione barese delle Ferrovie dello Stato. Ma poco dopo il suo arrivo a Borgo­divalle, questi viene trovato cadavere su un pendio non lontano dal greto del fiume. L’assassino non solo gli ha tagliato la gola, ma lo ha anche evirato.

Alla luce di quest’ultimo particolare, cosa c’è di più ovvio che sospettare un »delitto d’onore«, la vendetta di una donna disono­rata o dei parenti di questa? Ciò che si apprende di Alessi sembrerebbe confermare questa ipotesi. Un uomo galante, colto, affasci­nante; un seduttore sempre a caccia di donne attraenti. Le avventure del quale non erano rimaste ignote alla moglie, la signora Giorgina, donna seria ed elegante, persuasa di non poter cor­rispon­dere, con la sua modesta femminilità, alle esigenze dell’uomo (»Fianchi sterili, gambe magre, sedere piatto e arido. Tutto come in un sentimento avaro, un trasporto misurato, una richiesta d’amore negata«). E tuttavia Giorgina sopporta gli oltraggi che il marito le arreca con »portamento da padrona e da vera signora«.

La Regia Procura competente per il territorio, situata a più di duecento chilometri di distanza, ha il compito di indagare sull’atto ignobile. Ven­gono inviati sul posto due regi carabinieri, il brigadiere Maisano e l’appuntato Varcone i quali, nell’impervio entroterra, si ritrovano lasciati a se stessi. Essi possono al più ricevere brevi messaggi per »fonogramma«, oppure recarsi a rapporto, ma non ricevono l’aiuto del quale avrebbero invece bisogno. Maisano in particolare, malgrado un fasti­dioso tic all’occhio sinistro, si spende molto nella ricerca di indizi e nell’interro­gatorio di testimoni ostinati fati­cando non poco per ottenere rispetto e per strappare ai reticenti anche le informa­zioni più semplici. È attraverso i suoi occhi e le sue riflessioni che il lettore partecipa a gran parte dell’azione.

Altrettanto importante è la prospettiva del caposquadra Gennaro Loia­cono, che ha sempre grande disponi­bilità verso i suoi uomini di ciascuno dei quali conosce punti di forza e debolezze. Poiché metterebbe la mano sul fuoco per tutti loro, cerca come un padre o come un fratello maggiore di risparmiare a essi problemi e tenerli lontani dai guai e dalle indagini. Tutta­via, facendo il suo dovere, non può impedire di essere lui stesso coinvolto nel vortice del caso.

Persino nel remoto Borgo­divalle, Alessi aveva un’amante, Concia, una pastora zotica che vive in un semplice casolare vicino al luogo dove è stato trovato il cadavere. La donna però è sposa promessa di Corrano Giasino, un latitante che si è nascosto in montagna perché ricercato per vari reati. Per seguire le sue e molte altre tracce, i due Carabinieri devono sop­portare molti disagi, non solo l’omertà e la in­disponi­bilità della gente del posto, ma anche il freddo della notte, il fango, le noiose escursioni attraverso fitti boschi e molti altri ostacoli. Così indagando, i due carabi­nieri scoprono un groviglio di rapporti personali proble­matici e biografie fra loro intrecciate – e altrettanto parecchi possibili moventi e soggetti interes­sati a levar di mezzo il vanesio ingegnere della città. Ma Maisano e Varcone non possono fidarsi di niente e di nessuno. Troppo spesso ciò che sentono è avvelenato da decenni di odio, falsificato da tattiche egoisti­che, basato soltanto su sem­plici dicerie.

Ciò che rende questo giallo, che si può centelli­nare in pace e tranquil­lità, un vero piacere per il lettore, è lo stile narrativo, elegante e preciso, esi­gente e colto come raramente si incontra. La lingua letteraria, piena di immagini stimolanti e di altret­tanto evocative sensazioni, ci cattura con facilità fin dalle prime pagine e ci sorprenderà fino alla soluzione finale. La storia inizia con un gravoso pellegri­naggio. Giorgina, vedova della vittima dell’omicidio, e Adriano Alessi, anziano padre dell’ingegnere, sono arrivati in treno da Bari per identi­ficare il defunto e, guidati da Gennaro Loiacono, sono costretti a camminare per diversi chilometri fino al luogo del ritrova­mento del cadavere, sul greto del fiume. Mattencini descrive magi­stral­mente, con grande abilità linguistica e sensibilità umana, come il percorso, i vestiti dei congiunti della vittima, la loro stan­chezza, il loro dolore, i loro ricordi li stanno ferendo.

L’autore assegna un profilo attento a ogni personaggio in modo che il romanzo abbia una narrazione complessa, a più voci, i personaggi si comportino in modo realistico e individuale, la loro interazione appaia credibile: dalle signore e i signori di città ai bravi operai, dai singoli abi­tanti di Borgo­divalle, a volte astuti, sospettosi o ombrosi, ai sospettati del grave crimine. Non tutti sono persone buone, ma Mattencini non nega a nessuno di loro il rispetto e la dignità umana. Splendida­mente modella l’atmosfera dell’epoca, del paesino, dell’osteria, delle fattorie primitive e il paesaggio aspro. In alcuni passaggi le descrizioni assumono qualità poetiche. Le acque del Crati, per esempio, o il Mar Ionio, che brilla e attende in lontananza, hanno caratteri­stiche simboliche.

Sono, ovviamente, gli indizi e le testimo­nianze che, rivelando sospetti e moventi, consenti­ranno di raggiungere la soluzione del caso, ma questo sarà soprattutto merito del brigadiere Maisano e del caposquadra Loia­cono. Mattencini traccia il loro laborioso lavoro mentale pieno di sco­gliere logiche e considera­zioni morali con una trama interiore finemente differen­ziata.

Sia il vasto e raffinato vocabolario che la sintassi talvolta complessa richie­dono al lettore non-italiano avanzate competenze lingui­stiche. La seguente citazione può servire per dare un impressione del talento lette­rario dell’autore, del suo stile espressivo e soprattutto per stuzzicare l’appetito per una bellissima lettura.

»In quel mare ignoto sfociava il fiume al quale essi andavano come a un pellegri­naggio. Lì, in quel mare, il Crati portava ogni minuto i segreti raccolti lungo il suo corso, affidan­dogli ciò che la natura e gli uomini gli consegna­vano, che le sue acque rubavano lungo le sponde. Un furto commesso dal fiume per conto del mare, refurtiva destinata a un ricet­tatore capace e discreto. Un complice, quasi, che attendeva tranquillo quel che gli sarebbe stato portato.«

traduzione: www.buecherrezensionen.org


Recensione di Andrea Camilleri: »Il metodo Catalanotti«

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Il metodo Catalanotti


Un ambizioso regista del teatro con metodi inconsueti è stato assassinato. Qualcuno spara a un giovanotto, che sostiene di non saperne nulla. Per il commissario, la vita sarà più difficile.


Romanzo poliziesco · Sellerio · · Brossura · 293 pp. · ISBN 9788838937965
Lingua: it · Paese d’origine: it · Collana: Il commissario Montalbano

Le piace Priestley?

Recensione pubblicata il 10 luglio 2018 · 2 voti »recensione utile« · senza commenti

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Mai prima Andrea Camilleri aveva smascherato il suo leggendario commissario come in questo, il ventiseiesimo thriller della serie [› Elenco completo]. Che Salvo Montalbano fosse alle prese con l’invecchiamento era già un filo conduttore degli ultimi volumi, ma si limitava a qualche osservazione flirtante, a riflessioni autocompiaciute e ad incubi. Ma ora è grave.

Salvo è vittima di una massiccia follia geriatrica. Il suo creatore lo ha già portato più volte in tentazione – ricordiamo donne splendide come Angelica [› Recensione] o la gallerista Marian [› Recensione] – ma in quegli affari è più o meno rimasto padrone della situazione, ha avuto le sue emozioni, scrupoli e azioni sotto controllo, e il destino ha chiarito la situazione. Ora seguiamo, divertiti prima, poi sbalorditi, il quasi sessantenne diventare schiavo di una giovane dottoressa (medico legale), incontrollato come un giovane pubescente, fino a quando questa donna molto moderna, molto indipendente, molto forte di testa lo deruba delle sue illusioni e lo lascia indietro con dolorosa auto-consapevolezza.

L’avventura tragicomica va di pari passo con l’Ora della Verità di Livia. Date le circostanze essa coglie l’occasione per fare e pronunciare ciò che si poteva aspettare da tanto. In fin dei conti nessuno si lascerebbe rinviare per anni con frasi come »Mi devi scusare Livia, ma qui da me ci sono Fazio e Augello, stiamo discutendo di un caso molto complicato«? Quale coppia si accontenterebbe di qualche visita di fine settimana all’anno, con voli di più di mille chilometri? Infine, Livia ricorda senza abbellimenti al suo distante »fidanzato« ciò che sente di se stessa e la responsabilità che lui dovrebbe finalmente sottoscrivere incondizionatamente.

Raramente l’autore ha svelato in modo così toccante e spietato la vita interiore dei suoi protagonisti – mi ricordano le scene del piccolo bambino rifugiato François (in »Il ladro di merendine«) e la sua tragica morte da giovane adulto (in »Una lama di luce«). Ma ora, come mai prima, Salvo è costretto a chiarire che cosa significhi l’amore e quali decisioni debbano derivare da esso. La vita sarà più difficile per lui.

Altrettanto degni di nota sono le due casi criminali che il Commissario deve risolvere in questo volume. Ogni fan di thriller e action sbadiglierà di noia (uno morto, uno sparo, e basta), ma hanno profondità in varie dimensioni. Come di consueto, la curva di tensione inizia a zero e poi aumenta notevolmente per i lettori che si immergono. Una collezione divertente di enigmi vi invita a riflettere e indagare fino a quando tutti i segreti sono risolti nelle ultime pagine. Vuoi divorare l’ultimo quarto del libro in un unico pezzo.

Il caso ›più piccolo‹ è del tipo che ha fondato lo speciale apprezzamento del commissario siciliano oltre vent’anni fa (vedi, ad esempio, il racconto »Il compagno di viaggio | Der Reise­gefährte«). Non si considera un amministratore delle leggi statali, ma un sostenitore della giustizia umana, ed è particolarmente preoccupato per la »piccola gente«. Per trarre d’impaccio i deboli, gli svantaggiati, gli oppressi e aiutargli a entrare nel loro diritto, e per portare i forti e gli arroganti ai loro sensi e ai loro limiti, egli piega le leggi, se necessario, in modo che fa rizzare i capelli. Se un suo superiore fosse mai venuto a conoscenza di tali manovre, dovrebbe immediatamente licenziare il suo collega M. Noi lettori invece sorridiamo, capiamo e siamo felici dell’audace magnanimità.

Il tema del caso ›grande‹ che dà il titolo (e rompe la tradizione del titolo a quattro parole!) dev’essere nato direttamente nel cuore del autore. Per tutta la vita Camilleri ha lavorato per il palcoscenico e lo schermo televisivo, fino a quando, nel 1994, il settantenne ha avuto il suo grande successo come autore di un romanzo poliziesco con ›La forma dell’acqua‹. Carmelo Catalanotti, la vittima dell’omicidio, è un suo lontano collega. Essendo così ricco che non ha bisogno di lavorare e può anche prestare facilmente somme di denaro a cinque cifre, il cinquantenne è completamente libero per la sua passione, il teatro. Con una piccola troupe di dilettanti altrettanto ambiziosi, ha messo in scena ‘classici’ drammi del novecento. L’attuale progetto da realizzare e »Svolta pericolosa« (»Dangerous Corner«) da J. B. Priestley (1932).

Con grande cura Camilleri spiega »il metodo Catalanotti«: la strategia con cui il regista assegna i suoi ruoli. Sottopone ogni persona che ritiene idonea (e questi possono essere anche conoscenti accidentali) ad un processo altamente individuale che mira a staccare completamente l’uomo da se stesso e a confrontarlo con il carattere del dramma. Il Catalanotti rompe, per così dire, i suoi aspiranti per fonderli completamente con il loro ruolo. (C’è un personaggio nel romanzo che fa riferimento al teorico teatrale polacco Jerzy Grotowski (1933–1999) e al gruppo teatrale sperimentale catalano »Fura dels Baus«.)

Catalanotti non è popolare con il suo approccio radicale. Con le sue stravaganti »provine«, spinge alcuni candidati ai limiti di ciò che sono in grado di sopportare, e alcuni anche oltre. Questo è il prezzo che devono pagare per partecipare ai progetti di alto livello. Il maestro non conosce nessuno scrupolo riguardo gli effetti personali provocati dal suo metodo. (A distanza si ricorda forse il recente scandalo di produttori cinematografici di Hollywood e altrove.)

Per il resto, Camilleri riutilizza personaggi e moduli di testo ben provati del suo catalogo che i lettori (e gli spettatori di film in TV) amano, anzi si aspettano. L’azione procede lentamente, a piccoli passi, Salvo si fa la doccia, divora enormi piatti preparatigli da Enzo e da Adelina, beve caffè a non finire, fa il suo cammino digestivo, si incontrano al commissariato, si intervistano testimoni e sospetti, Catarella torce nomi e parole e sbatte la porta contro il muro, Fazio ascolta con attenzione e ha »già fatto« tutto, e Mimì Augello conosce tutte le donne di Vigáta e dintorni da un punto di vista personale.

Di tanto in tanto un destino individuale dà luogo al protagonista di qualche pensiero di critica sociale (»Avrebbiro continuato a diri NO a ogni cosa, nella spranza di arrinesciri accussì ad ottiniri il potiri per po’ finiri come a tutti l’autri.«), senza che i grandi problemi del nostro tempo si concretizzino, figuriamoci siano discussi. Questo è troppo indeciso e debole mentre orde di nazionalisti, populisti e bugiardi sembrano controllare il dibattito pubblico ovunque (persino a Vigàta?). È giunto il momento che Salvo Montalbano, stimato non solo in Italia come un autorità morale e uomo di buon senso, dovrebbe prendere posizione e alzare la sua voce senza equivoci a favore della ragione e decenza – magari come un Europeo siciliano. Bastano poche frasi. Ma attirerebbero molta attenzione.

Dopo diversi romanzi meno spettacolari, questo è finalmente un’altro giallo di classe. Camilleri, che compierà i novantatré anni all’inizio di settembre, ha perso la vista pochi anni fa. Quindi ha dettato il romanzo (come già »La rete di protezione«) alla sua assistente di lunga data Valentina Alferj.

traduzione: www.buecherrezensionen.org


Recensione di Savina Dolores Massa: »Ogni madre«

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Ogni madre

Racconti · Maestrale · · Brossura · 208 pp. · ISBN 9788864291086
Lingua: it Paese d’origine: it · Regione: Sardegna

I veri protagonisti della storia sarda

Recensione pubblicata il 16 giugno 2014 · 5 voti »recensione utile« · senza commenti

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di questa recensione.

Savina Dolores Massa scrive storie aspre come l’isola in cui esse hanno luogo. Nella prefazione l’autrice chiarisce di aver voluto disegnare delle »creature« che »si aggirassero tra avvenimenti e paesi della Sardegna passata«. I suoi personaggi sono però principalmente legati alla storia dei suoi antenati e della sua patria. Il cambiamento viene sempre dall’esterno e ciò che i tempi moderni portano alle persone è accolto con stupore e indifferenza, quasi come se non li riguardasse o potessero scegliere di ignorarlo.

Gli occhi sinistramente belli di Vincenza Demontis simboleggiano il potere fatale della fissità: »portano solo disgrazie«. Quattro corteggiatori pagano atrocemente il suo sguardo con la vita, e quando solo tre mesi dopo di matrimonio, il marito di Vincenza ha un incidente mortale, nessun uomo osa più guardarla. Crescerà da sola il figlio Candido.
Arraffiella Satta sposa Candido per amore, eppure sa bene che »le cose cattive non si sotterrano mai«. Per tale motivo è fermamente risoluta a rinunciare a degli eredi poiché potrebbero avere gli stessi odiati e maledetti occhi della suocera. In un momento di debolezza, Arraffiella però cede e a quarant’anni dà alla luce un figlio, Pissenti (»maledetto giorno, maledette pecore e maledetto il mio cuore molle!«).
Il padre Candido vorrebbe togliere il fanciullo dal circolo vizioso, fare in modo di educarlo da qualche altra parte; alla madre questo però sembra fin dal principio un peccato »di presunzione, di vanità di fronte alle altre madri, con un destino già tracciato per i propri figli: povero e ignorante per tutta la vita«.
Finiti gli studi, Pissenti ritorna al suo paese natio carico di entusiasmo illuminista nell’interesse dei suoi arretrati abitanti, che per la maggior parte non sanno né leggere né scrivere. Ma il giovane pretende troppo da loro, ferisce inavvertitamente il loro orgoglio semplice, mette la loro muta e subdola resistenza contro di sé, finché una pallottola anonima non lo uccide.
Perfino la madre Arraffiella lo aveva da tempo abbandonato. Nonostante tutto il dolore sa che tutti i figli del paese sono uguali, che qualunque di essi avrebbe potuto sparare, poiché »l’orgoglio, ogni madre lo serve nel piatto cena dopo cena, per far andare i figli a dormire con la pancia più piena«. I pensieri illuministi portati da Pissenti nel villaggio avrebbero strappato i figli alle madri e distrutto il nocciolo della società.

La storia di »Ogni madre« termina nel 1967. Ognuno dei tredici testi della raccolta che gli dà il titolo è legato a fasi della storia sarda fra il 1870 e gli anni ‘60 del XX secolo. In ogni racconto viene delineato il contesto (politico, sociale, economico) in due, tre frasi, senza tuttavia che esso si concretizzi come parte dell’intreccio. Più che altro questo sguardo offre al lettore uno sfondo grazie al quale i destini mostrati acquistano una valenza che trascende la singola individualità.

In tal modo veniamo a conoscenza dell’arbitrio dei »Baroni«, del »banditismo«, della costruzione della ferrovia, dello sfruttamento sistematico dei boschi per ricavarne traversine e carbone, delle condizioni di vita e di lavoro nella regione mineraria sud-orientale, degli attacchi aerei degli Alleati, degli sforzi degli intellettuali arrivati da Roma, che incitano gli ingombranti sardi all’azione politica. In episodi di incompresa trasformazione sociale, l’identità sarda permane quale unico e sicuro valore permanente. Ogni tentativo di azione fallisce. »A voi sardi non si può insegnare nulla«.

In tal modo i Sardi sono rimasti imprigionati – come già da molti secoli – nel loro ruolo di vittime inascoltate, forza-lavoro sfruttata e, tutt’al più, come spettatori diffidenti. In qualità di raccoglitori di legna, carbonai, pastori, inservienti, braccianti – molti fino alla metà del XX sec. – hanno vissuto un’esistenza ricca di privazioni, spesso in condizioni da età della pietra e privati dell’istruzione anche più elementare. (»Per Liccu, l’unica ricchezza di un uomo era la libertà, e solo gli anni potevano curvargli la schiena«). Beneficiari rimanevano coloro i quali lo erano sempre stati.

Molti personaggi di cui raccontano gli autori sardi sono caratterizzati da queste situazioni.

Ai deboli non rimane altro che l’apatia, ai forti la lotta per una scarsa zona d’influenza – se necessario anche a spese del vicino. Le donne di Savina Dolores Massa modellano i propri figli e, quando falliscono, perdono la parola (»la lingua morta in anticipo su di lei«), siedono inerti, sopportano pietrificate (»La madre paralitica, seduta rigida su una sedia con le ruote frenate da sacchi di carbone«). Gli uomini proteggono e difendono il loro onore e il loro orgoglio come il bene più prezioso: »Noi di dire a un altro sardo, Tu mi devi fare il capo, non ci riusciamo, noi«.

Savina Dolores Massa appartiene alla cerchia più significativa di giovani autrici sarde, i cui testi sono fortemente radicati nella cultura dell’isola e nella sua storia, riuscendo comunque a sviluppare forme di racconto letterarie innovative e tonalità stilistiche individuali [vedere »Sardische Literatur aus hundert Jahren | Cento anni di letteratura sarda« su buecherrezensionen.org].

I racconti di »Ogni madre« sfruttano appieno il potenziale offerto dal genere della short story. Leggiamo di avvenimenti incredibili, vediamo persone focalizzate proprio nel momento in cui il loro destino cambia repentinamente, veniamo colti di sorpresa da svolte finali, ascoltiamo l’intimo dialogo interiore tra un vedovo e la moglie suicida.

Savina Dolores Massa evoca impressioni insolitamente forti, che difficilmente dimenticherete. Ciò risiede nella precisione del suo vocabolario, nella densità della costruzione della frase, spesso tortuosa come il tronco nodoso di un antico olivo, oppure frammentaria (»Niente stelle: spente«). Il suo stile è scarno o fervido, come i suoi personaggi.

Di continuo troviamo immagini che si impressionano nella mente (»contando formiche con le ali«, »dalle parole pronunciate erano scomparse le vocali«), e motivi (ad esempio reiterazioni che ricordano le formule delle fiabe: »E tu, Sofia, non mi hai mai sentito la voce«) oltre a elementi magici (»in vetta a un monte […] decise di acchiappare due stelle per sostituire gli occhi della madre: spenti«), che tuttavia trovano un legame con fatti storici, e in tal modo sviluppano un valore tanto più forte.

Nella prefazione confessa Savina Dolores Massa: »Ai veri protagonisti della Storia va tutto il mio rispetto e il mio amore incondizionato, come pure alla mia incantatrice, ma spesso amara isola«.

traduzione: Laura Dore (per Edizioni Il Maestrale)


Recensione di Gino Marchitelli: »Il pittore«

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Il pittore

Romanzo poliziesco · Red Duck Edizioni · · Brossura · 204 pp. · ISBN B00I8CV4K2
Lingua: it Paese d’origine: it · Regione: Puglia

Autori e vittime nel Salento

Recensione pubblicata il 16 giugno 2014 · senza voti · senza commenti

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di questa recensione.

Come inizia in modo idilliaco questo romanzo! Noi turisti ci ricordiamo benissimo dell’aereo che vola verso Bari o Brindisi sopra »lo spettacolo della costa«; subito dopo l’atterraggio, ci circonda il vento caldo del Salento, prendiamo l’auto a noleggio e ci mettiamo subito alla guida pieni di speranze, allegri e felici verso i nostri luoghi di vacanza.

La famiglia inglese, che arriva il 6 aprile, però non ha idea di cosa li aspetta. Giocando sulla spiaggia di Penna Grossa – a nord della Riserva Naturale WWF di Torre Guaceto – i bambini trovano, dietro le sco­gliere, il cadavere di una donna nuda in uno stato pietoso e già corroso dall’acqua salina.

Dal grigio e piovoso nord d’Italia Cristina Petruzzi e il suo compagno Matteo Lorenzi sono arrivati qui lungo l’autostrada A14. Il commissario della Squadra Mobile di Milano alcuni mesi prima aveva risolto una serie di omicidi nel campo dell’edilizia e la giornalista investigatrice di Radio Popolare lo aveva aiu­tato. Durante una di queste indagini pericolose lei stessa era stata rapita. Per riprendersi dal trauma subito, il medico le aveva consigliato una pausa di due settimane, e per fortuna avevano ricevuto ospitalità in Sa­lento, una classica meta turistica anche per gli italiani.

In un altro caso di omicidi seriali, Lorenzi aveva lavorato con De Stefano, il maresciallo dei carabinieri di San Vito dei Normanni; l’amicizia che si era creata tra di loro aveva portato De Stefano ad invitare l’amico a casa sua. Lorenzi spera ora di poter mostrare a Cristina la bellezza della zona, che egli stesso aveva scoperto in collaborazione con il collega. La casa si trova a Santa Sabina, presso lo scoglio del cavallo – un’acqua cristallina, una spiaggia da sogno, una vecchia torre di guardia a protezione dei Saraceni, come tante che si possono ammirare lungo la costa della Puglia. L’autore descrive i luoghi dove si svolgono le azioni e i percorsi in modo così dettagliato da poterli, volendo, facilmente visitare e seguire in vacanza.

La prima cena insieme in un ristorante sulla spiaggia evoca piacevoli aspettative amorose tra i due prota­gonisti. Nel piccolo porto davanti al ristorante guardano oltre la spalla di un pittore. Il settantenne con barba e lunghi capelli bianchi si chiama Olaf Jan Nielsen; è di Copenaghen e da qualche anno si è trasferito qui, a Carovigno e Ostuni. Le sue passioni sono dipingere e fotografare le barche da pesca ormeggiate in acqua, e gli uomini che ci lavorano.

Per Cristina e Matteo, purtroppo, niente vacanza romantica e rilassante come previsto. Sulla strada per la spiaggia di Torre Guaceto i due incontrano la squadra speciale intenta a studiare il caso della donna uccisa e, grazie alle relazioni personali, vengono autorizzati a parteciparvi.

Mentre gli investigatori svolgono le loro indagini, il lettore apprende l’intera storia del crimine, anzi, la »vive« proprio. Due donne di Monaco si erano recate nel sud d’Italia verso la fine di marzo per dimenti­care i loro problemi. Purtroppo, piene di voglia di vivere, ignorano i possibili rischi e perdono il controllo di se stesse e degli eventi. Incontrano alcuni giovani che hanno poco rispetto delle donne, pochi scrupoli e poco da perdere, e ciò che inizia come incontro sessuale casuale, finisce per una delle due donne in una morte brutale. Durante gli eventi successivi anche il pittore danese, del tutto innocente, perde la sua vita e anche Cristina mette in pericolo la propria.

Questo è un libro sui generis.

Lo stile narrativo di questo giallo è diretto, solido, schietto e senza fronzoli, come lo stile del linguaggio e la caratterizzazione diretta e a volte un po’ ovvia (»un bravo magistrato«; »Cristina comprende l’animo del commissario«; »la curiosità professionale viene prima della voglia di vacanza e riposo«). Le identità dei colpevoli e delle vittime sono chiare, tutte le attività e gli eventi vengono spiegati accuratamente. All’autore non importa fare un enigma del caso o creare la tensione di un Whodunit, ma piuttosto scoprire che cosa ha portato gli autori a compiere i delitti, e soprattutto illuminare la mentalità e il disagio sociale dei personaggi.

Per questo il narratore si sofferma a volte sulla situazione di un protagonista chiedendosi: come si sente? Come sono andate le cose? Perchè adesso si trova in questa situazione? Stilisticamente, può sembrare ques­to un metodo datato, ma crea lo spazio per un momento di riflessione.

D’altro canto però sembra che l’autore non voglia lasciare troppo spazio di riflessione al suo lettore. Aggiungendo alcune foto e link di musica (su YouTube) delimita la sua facoltà immaginativa. Similmente i suoi lunghi commenti sulla situazione sociale e politica del paese non solo interpretano le azioni dei prota­gonisti, ma anche ci dirigono verso una certa visione del mondo.

Il romanzo è intriso della visione del mondo tipicamente italiana del cattocomunismo, che riesce a combi­nare le teorie tutte materialistiche della lotta di classe con la fede in un mondo migliore nell’al di là, l’appello per la rivoluzione con la naturale accettazione delle autorità in famiglia, nel paese, in chiesa – cose che fuori dell’Italia sembrano incompatibili, contraddittori e paradossali. Presenta un’immagine im­pegnata e dettagliata delle popolazioni del mezzogiorno e si respira l’amore dell’autore per la Puglia. Pro­babilmente sono queste le qualità che hanno spinto due giurie di premiazione a pronunciare riconoscimenti speciali a Gino Mar­chi­tel­li e al suo libro: »Premio letterario internazionale ›Il Molinello‹ all’opera in­edita 2013« (marzo 2014) e »Premio letterario nazionale ›La Provincia in Giallo‹« (un’iniziativa per promuovere il giallo connesso con le regioni) (maggio 2014).

I temi che Mar­chi­tel­li elabora nel suo romanzo sono il lavoro duro e mal pagato della popolazione rura­le, la disoccupazione apparentemente senza speranza, ad eccezione dei tre mesi estivi, la mancanza di pro­spettive per i giovani, che preferiscono scegliere le comodi scorciatoie per ottenere quattro soldi rapida­mente e in modo facile per godersi »tutto subito«, mentre i loro bravi genitori, ›accecati‹ come sono dal troppo amore verso i figli, non comprendono la loro angoscia e si disperano per il crollo dei valori tradi­zionali. Ma tutti loro sono impotenti e incapaci di produrre un cambiamento, frenati dalla solita vecchia mentalità che li porta alla convinzione che, in fondo, sia meglio tacere e prendersi cura solo degli affari propri (»i cazzi suoi«) che rischiare di rompere con l’amato figlio o di impegolarsi con »gli sbirri«. Il pro­tagonista in cui tutto questo si concentra si chiama Tony, soprannominato »il magro«. »Tony lu mazzu se ne fotte di tutto … dei genitori, dei carabinieri, del lavoro, della morale corrente, della fatica, della vita dei genitori e di una prospettiva fatta di sudore e lavoro duro. Tony utilizza sostanze, molte e di vario tipo … eppure mantiene un suo strano equilibrio che gli consente di riuscire a lavorare, mascherando la sua dipen­denza, con lo zio pescatore.«

Riguardo ai responsabili della miseria sociale, l’autore di un giallo non può fare altro che accusare molto genericamente la corruzione e i complotti dei potenti e dei politici di turno – usando frasi che si sentono spesso in ogni bar italiano: »Che cazzo di sistema di merda. È tutto una scena, tutto finto, una grande, enorme, recita all’aperto. Non c’è un teatro, non ci sono le scenografie, non c’è regia, o meglio c’è la regia nascosta di un potere nemico di noi giovani. In ogni casa si recita un atto di questa commedia che i potenti, i ricchi, i politici ci fanno rappresentare da secoli. Cambiano gli attori ma lo spettacolo è sempre lo stesso, la guerra dei poveri e la guerra tra poveri. Gli unici che si divertono sono loro, quelli che comandano, quelli che decidono.«

Mettendo sì in luce le condizioni sociali che limitano la libertà dei suoi giovani protagonisti, l’autore però non assolve chi è colpevole di un reato. Per quanto ristretta sia la sua libertà d’azione egli assegna l’ultima responsabilità della scelta morale tra il bene e il male sempre e senza ombra di dubbio all’individuo. Non essendo diventati ancora smaliziati, viscidi, infidi professionisti del crimine, questi ragazzi hanno ancora una coscienza, ed è proprio a questa che si appellano sia la mamma, l’amico paterno di zi’ Egidio che il prete, dal quale si rifugia persino uno come Tony lu mazzu. Anche la consolazione spirituale però non funge da facile via d’uscita, ma anzi lo costringe ad assumersi le proprie responsabilità in quanto uomo: »Io non posso assolverti per quanto hai fatto, credo che il Signore ti abbia condotto fin qui per aiutarti a trovare la giusta strada … Solo dentro di te e con l’aiuto di Dio potrai trovare la forza per espiare la tua colpa. Ora vai a casa e rifletti sulla cosa più giusta da fare.«

In conclusione i crimini di cui ci racconta Marchitelli offrono al lettore non solo la tensione propria di un giallo di genere ma soprattutto uno sguardo autentico sulla realtà di una regione che i turisti troppo spesso idealizzano per la sua bellezza naturale o la minimizzano come una sorta di terra dei Puffi a causa dei trulli, che trovano carini e buffi. Nonostante i suoi piccoli difetti, questo giallo è una lettura originale per tutti coloro che che vogliono far visita alla costa pugliese, con il suo magnifico mare e l’entroterra ancora molto più attraente, o che vogliono imparare in modo divertente qualcosa sulla regione e la sua gente, o che semplicemente vogliono perfezionare il loro italiano.

Per il formato cartaceo di questo libro si prega di rivolgersi all’autore (http://www.ginomarchitelli.com). Inoltre »Il pittore« è già il terzo giallo con Cristina Pe­truzzi e Matteo Lorenzi (dopo »Morte nel Trullo« Gino Marchitelli: »Morte nel Trullo« bei Amazon , 2012, e »Qvimera«, 2013); il quarto libro della serie uscirà ad ottobre 2014.

traduzione: www.buecherrezensionen.org

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